Leopoldo Verona
Il mestiere dell'attore

Conversazione tra Leopoldo Verona e Franco Di Francescantonio
(pubblicata su "Verifiche"/ Svizzera- n.3, giugno 2003)

Ecco un nuovo contributo di Leopoldo Verona. I lettori di "Verifiche" lo conoscono già per la pubblicazione di due poesie inedite (giugno 2001) e per la bella intervista su "Arte e Teatro" curata da Silvano Marini (aprile 2002).
Il poeta e regista torna oggi sul tema del teatro con l'attore Franco Di Francescantonio, tra i più rappresentativi e raffinati del panorama europeo. Si sono trovati a Roma un pomeriggio di fine novembre, in Trastevere, nei pressi del Metateatro in cui dal 19 novembre al 15 dicembre si è rappresentato lo spettacolo "Confessione" tratto da Tolstoj, regia di Riccardo Sottili, interpretato proprio da un intenso e ispirato Franco Di Francescantonio.
Particolare e simbolico anche il luogo dell'incontro: i due artisti, dopo aver girovagato alla ricerca del "posto giusto", scelgono infine di rimanere in macchina. E così, on the road, si confrontano su cosa voglia dire oggi essere/fare l'attore, parlando del comunicare, della parola e del "pane della poesia" (secondo la bella espressione coniata da Leopoldo Verona), irrinunciabile nutrimento del vivere.


LEOPOLDO VERONA - Ci ritroviamo. Due amici di vecchia data.
Probabilmente chi ci leggerà non ha mai sentito parlare né di te né di me. Noi però pensiamo di avere cose da dire. Cose che forse anche altri hanno detto. In ogni caso ...
FRANCO DI FRANCESCANTONIO - Chi vive ha certamente sempre qualcosa da dire.
Bisogna però trovare gli interlocutori per raccontare le nostre storie. Per me sono le persone che vanno a teatro. Mi sono innamorato del teatro per questo: lì c'era chi mi ascoltava e anch'io potevo ascoltare. Perché un attore ascolta il pubblico. Un attore è attento a quello che succede, a come respira il pubblico, a come si relaziona con lui.
La comunicazione. Ecco. Io ho scelto il teatro come comunicazione, da tanti anni, e cerco di seguire disperatamente, faticosamente quello che amo, quello che mi piace. È vero, ho fatto anche teatro ufficiale, anche quello che non ho amato moltissimo. Ma faceva parte del mestiere, del lavoro. Cerco di resistere per fare quello che mi sembra giusto, per me e per le persone che poi mi vengono a vedere.

LV - Dunque sei un attore. Fai teatro da trent'anni e non solo in Italia. Cosa vuol dire fare teatro oggi? Dove e perché farlo?
FDF - Fare teatro oggi è seguire con determinazione un desiderio. Che è appunto quello di comunicare. Il teatro è fatto dalle persone. Questo è l'aspetto più importante. Che siano della tua stessa lingua o no, io mi sono reso conto che importa fino a un certo punto. Lavorando sia in Russia che in Spagna, sia in Francia che in Germania ho potuto sperimentare che il teatro comunica al di là della stessa parola. Questo è davvero straordinario. È una delle emozioni più belle che mi ha regalato questo mestiere. Di solito si pensa che solo uno spettacolo di musica o di danza si possa portare in giro per il mondo senza problemi. La parola sembra quasi essere un limite, una barriera. Invece non è vero. Perché il teatro, grazie a Dio, si racconta anche con uno sguardo, con un gesto, con pause... Ci sono tanti elementi che ti permettono di comunicare, ma il senso vero di fare teatro oggi è riscoprire la persona.Tutto può tornare utile, è vero: mostre televisione cinema... tutto è importante. Ma la cosa che più mi affascina è la possibilità di riguardare in faccia le persone. Riscoprire un po' il gusto di sentire la gente respirare, o non respirare, quando l'emozione è forte; vedere occhi che ti guardano, a volte anche un po' lucidi perché commossi: ecco, questo mi sembra la cosa più importante oggi, dove tutto contribuisce quasi ad allontanare tra loro le persone. Stiamo a casa, facciamo le nostre "cose" con computers, macchine varie e altro.... E invece no!

LV - E invece no. C'è anche il teatro!
FDF - È vero.

LV - Ma cos'è che dà valore al momento teatrale? L'attore? Il suo prepararsi all'incontro col pubblico? L'interesse del pubblico per "qualcosa" da cui essere coinvolto?
A me sembra importante che la gente venga a teatro preparata. Però, magari, non sempre è così, quindi: quanto incide la preparazione dell'attore, non solo fisica, tecnica eccetera, ma interiore, per favorire l'incontro, per arrivare al risultato che tu sperimenti, mi sembra di poter dire, tutte le sere, di "un momento vissuto insieme"?
FDF - Io posso dire che l'importante è aver voglia di incontrarsi. Se c'è questa voglia di incontrarsi, allora è certo che sulla bilancia i valori sono pari! Sia il mio studio, la mia ricerca, concentrazione, il mio prepararmi anche dentro, sia il desiderio del pubblico di venire a teatro superando la stanchezza di una giornata di lavoro, prendendo la macchina, affrontando difficoltà varie ma con la voglia di "andare a incontrare". Incontrare qualcosa, qualcuno, un bel testo, un valido messaggio, un bravo attore, una bella scena, della buona musica... Io credo che è questo desiderio reciproco che fa sì che la cosa funzioni.

LV - Quanto è importante la scelta del soggetto da rappresentare e quanto incide nella riuscita dello spettacolo?
FDF - È importantissima. Io cerco di raccontare cose a cui credo. Non è facile, perché nel momento in cui ti avvicini a Tolstoj o a Kafka per esempio e decidi di proporli, devi prepararti, studiare e avere molto rispetto. Sono i testi stessi allora che ti vengono incontro. E non ti resta che metterti a disposizione, per darli nella loro autenticità .

LV - Fare l'attore, è un mestiere?
FDF - Ci sono varie opinioni su questo tema. Per me lo è. È un mestiere, che ha le sue regole, le sue fatiche, ma che dà anche i suoi frutti. Nello stesso tempo, però, è anche un piacere. Non si può fare l'attore senza convinzione e senza la gioia di farlo. C'è anche un altro aspetto che mi piace molto sottolineare, quello dell'artigianalità . Essere artigiano è il teatro. A me piace lavorare insieme con datori di luci, scenografi, attrezzisti, costumisti... Lo spettacolo lo facciamo insieme, è il risultato di un impegno collettivo. Da una parte l'essere preparati, dall'altra la necessità di prepararlo.
Secondo me è il mestiere più bello del mondo. A volte mi meraviglio persino che mi paghino per fare una cosa che mi piace...

LV - Queste considerazioni si possono riferire al "mestiere" dell'artista in genere. Ancor più oggi, dove magari il significato e il valore di questa figura è misconosciuto e la sua funzione viene strumentalizzata o addirittura derisa.
FDF - Sono d'accordo.

LV - Ci sono delle figure di riferimento, per te, nella storia del teatro? A quali maestri hai guardato?
FDF - Io ho avuto la fortuna di lavorare con dei veri maestri. Oggi il mondo è pieno di professori: tanti professori, quindi tante teorie. Mancano però i maestri, cioè quelle persone che "basta che facciano" perché tu sia pronto lì, a rubare.

LV - Rubare?
FDF - Certo. Io ho rubato tanto nella mia vita! Perché non avendo fatto una scuola di teatro, ho dovuto rubare dagli altri. È sempre stato bellissimo, essere un ladro... [Ridiamo.]

LV - So cosa intendi dire. E penso che anche altri conoscano il valore di questo modo di imparare. Anzi vorrei aggiungere che questa sensazione io l'ho provata con Orazio Costa Giovangigli, vero maestro del teatro del '900, per me figura di riferimento, che anche tu hai conosciuto. (Lui, come sai, mi ha espresso il suo apprezzamento sul tuo lavoro.)
Ho sempre pensato che questi grandi siano un po' come una sorgente che continua a offrire la sua acqua. Andare a "rubare acqua" alla sorgente non solo è opportuno, ma ciò le dà gioia.
FDF - Quanto è vero!

LV - Senti, Franco, drammaticità espressività leggerezza ...
FDF - Queste tre parole costituiscono l'essenza dell'attore. Anzi sono un po' l'essenza del teatro stesso. Le amo tutt'e tre. [Si ferma a pensare.]
Cosa posso dire, a proposito di questa o di quell'altra? ... Mi piace tanto essere drammatico, mi piace l'espressività ... Ma, sai, si contengono, nel senso che l'una ha in sé l'altra. Però, delle tre, la più sana è forse la leggerezza.
La dimensione della leggerezza mi ha aperto davvero delle porte straordinarie. E questo l'ho sperimentato in Spagna, proponendo uno spettacolo ispirato alle "Conferenze americane" di Italo Calvino.

LV - Puoi dirmi qualcosa di più su come tu la intendi?
FDF - Ma... sai... la leggerezza, in questa poverezza che c'è oggi di linguaggio...

LV - Mi piace "la poverezza". Hai detto proprio bene. Definiamola POVEREZZA. [Ridiamo ancora.]

FDF - La leggerezza si confonde molto spesso con la superficialità . È chiaro che non è questo. La leggerezza è qualcosa che ti permette di sorvolare sulle cose ma con una osservazione acuta e profonda. È far cadere su quello che sorvoli il tuo sguardo, il tuo ascolto, il tuo modo di vedere. La leggerezza, poi, comprende il gusto di sorridere di se stessi, per esempio, sottintende delicatezza, attenzione, gentilezza. Per questo dico che è una cosa che mi piace molto. E poi la leggerezza è l'impalpabile, aspetto anche questo che mi piace molto. Il massimo però è: essere leggero drammaticamente, espressivamente leggero, drammaticamente espressivo... Quando riesco a essere espressivo e drammatico con leggerezza, sono felice.
L'una vicina all'altra fanno sì che venga fuori il "corpo" dell'attore. E la "parola"! Nel senso più alto del termine.


LV - Nel libro "Gelosa di Majakovskij" Barbara Alberti, riferendosi ai terribili anni della rivoluzione russa, pone questa domanda:
"Perché la polizia segreta s'interessava tanto dei
poeti?"
RISPOSTA: "I poeti da noi [in Russia, ndr] erano
una cosa seria, mica come da voi [ in Italia, ndr],
che un po' vuol dire disadattato o scemo!
Da noi i poeti hanno sempre fatto il buono e il
cattivo tempo. Più famosi degli attori, più pensati
dei sovrani, avevano quel potere (...) ancora una
volta, la parola...
Con essa confondevano o illuminavano i giovani
ma anche i vecchi e i moribondi e quelli di mezza
età privati dei sogni e i bambini, che sentivano in
casa mischiati alle fiabe, i versi più famosi."

FDF - Mamma mia che bello!
LV - Sapevo che ti sarebbe piaciuto. Per questo ho voluto leggertelo. E anche per chiederti qual'è il tuo rapporto con la poesia. Hai già detto del valore della parola, ma mi piacerebbe, dopo questa lettura, sentire come sei entrato nel mondo della poesia e che significato ha avuto per te darle voce. Perché la poesia, non è così semplice sentirla parlare, mentre, attraverso il teatro, invece... può darsi...
FDF - Certo. Infatti. La poesia è per un attore "la materia". Una materia nobile. L'incontro con la poesia è stato qualcosa che mi ha sconvolto. Scoprirla è stato straordinario. Ho capito che essa non comprende solo la parola ma tutte le arti: è musica, è ritmo, è intensità ... È, per l'attore, necessità di interpretazione... È qualcosa di estremamente vivo. La poesia credo che sia una delle cose più vive che esistano! Ancora più del teatro. Perché ti permette di andare oltre l'artificio, verso il coinvolgimento totale dell'essere, offrendo la possibilità dell'emozione. La semplice parola non arriva a tanto. Anche se ogni parola ha in sé dei significati... Ma quando diventa poesia, ecco che va oltre, fino a toccare le corde più profonde della persona. Se scrivere poesia è un dono straordinario per il poeta, per l'attore lo è poterla dare.
È molto bello, molto bello. È stato come aver trovato un inestimabile tesoro: tenuto tutto per me, sarebbe troppo. Bisogna che in qualche modo lo condivida con altri, anche se con molto timore e con ancor più grande responsabilità .

LV - Qui si considera la poesia quasi come un nutrimento essenziale per il vivere. Ti sembra esagerato parlare di "pane della poesia"?
FDF - Il "pane della poesia"! No. Non è esagerato. È il modo più efficace con cui l'ho sentita definire. Noi ci si nutre costantemente di poesia. Essa è presente in tutto ciò che è bello. Anche se non ce ne rendiamo conto. E quindi, a noi ci nutre, come il pane quotidiano.

LV - C'è qualcosa che ti urge dentro? Che vuoi assolutamente dire?
FDF - Sì, è qualcosa di cui sento proprio il bisogno per continuare a vivere (non dico bene o tanto, ma il meglio possibile). È la pace, la cosa che più vorrei gridare. Detto così può sembrare scontato, però... La pace è qualche cosa che in questo momento mi manca. Vorrei poterla chiedere, vorrei poterla raccontare. E per pace intendo una pace interiore, la pace con gli altri. E proprio NO a qualsiasi tipo di guerra. Che sia psicologica, che sia con le armi... Invece pace! Cioè possibilità di dialogo, possibilità di incontrarsi... Questo sì. E allora vorrei poter gridare che questo è ciò di cui tutti abbiamo gran bisogno.

LV - Questo bisogno di pace, come lo vivi sulla scena? Come lo comunichi?
FDF - Lottando. Sembra un assurdo, desiderare pace e lottare. Però lo faccio con "armi innocue". Le mie armi sono me: la mia voce, le mie emozioni, i miei desideri, le mie capacità di comunicare... Cercare di essere bravo, perché la gente possa cogliere il più possibile di quello che sto facendo. Per questo, appunto, devo affinarle, queste armi! Le chiamo armi e mi vergogno un po', perché per armi s'intende sempre comunque qualcosa che distrugge. Invece le mie vorrebbero essere armi per "costruire". Costruire emozioni: mi sembra la cosa più importante. Per farlo devo riuscire ad andare oltre i miei stessi limiti, per poter sprofondare dentro qualche cuore. Dentro qualche anima.

LV - Allora, Franco, noi due ci troviamo qua e là , nel tempo e nello spazio. Io ho vissuto con te tanti tuoi momenti espressivi sulla scena o dalla parte del pubblico. Mi sono sempre sentito "costruito" da te. Cioè nutrito, da quello che tu hai fatto: dal tuo lavoro, la parola, il gesto...
Siamo anche amici, quindi conosco quello che ti vive dentro e mi pare che questa autenticità profonda, questo bisogno di essere veramente se stessi nei rapporti anche con gli altri, con le persone soprattutto più vicine, sia in te una costante tensione vitale.
Dirai: "Ma che c'entrano in una conversazione come questa considerazioni tanto personali"? Invece secondo me è fondamentale dirne, perché dell'amicizia e dell'autenticità dei sentimenti, oggi, abbiamo bisogno di sentir parlare, soprattutto abbiamo bisogno di averne esperienza, testimonianza... Io credo che si possa affermare che tra noi questo esiste. Ecco. Adesso io ti darò una mano a prepararti per lo spettacolo. [Sorride]
Un'ultima domanda. Quale pensi sarà , stasera, il momento più importante per te?
FDF - Ti dirò francamente: l'attimo in cui sto per aprir bocca. L'inizio dello spettacolo. Il momento in cui si apre la porta, si accende la luce.... È un attimo di strana beatitudine, la chiamerei così. Perché, fin che le porte son chiuse, non si comunica; se la luce è spenta, non vedi le persone. Quindi direi proprio che l'attimo più importante è quello in cui inizia la comunicazione. Tutte le sere è questo l'attimo in cui devo scavalcare tutti i problemi che ci sono stati prima. Devo essere disponibile, attento. Devo essere. Devo tirar fuori cioè tutto il meglio di me. L'attimo in cui questo accade, è appunto il momento in cui ha inizio lo spettacolo. È l'attimo più bello, quando la parola, come una gran signora, fa il suo ingresso in questo mondo strano che si va creando.
Spero che anche questa sera sia così. Spero che ce ne siano tante, di queste sere... Che le porte siano ben oliate, le luci ben puntate....... perché il miracolo del teatro si concretizzi.

Roma/Milano novembre 2002 - aprile 2003
| update: 2015-01-04
Biografia

Cantautore poeta regista, è artista poliedrico. Nato in Sicilia [1951], di cultura e lingua greca per parte di madre, italiana per parte di padre, studi classici, laurea a Firenze in Architettura con la tesi "Teatro e Architettura". Parla più lingue e ha molto viaggiato, entrando in contatto con personalità e culture dei cinque continenti.

Rivelatosi come cantautore sin dalla fine degli anni '60, è figlio della canzone d'autore (da Brel a De André), ma più alla maniera dei menestrelli medievali o forse dei cantori greci. Le sue canzoni (ad oggi oltre un centinaio) sono state apprezzate da François Raubert (arrangiatore di Brel e Piaf, che, a Parigi, ha curato un arrangiamento per orchestra del suo recital “Semplicemente vivo”) e da Luciano Berio conosciuto a Firenze.

Come ideatore e interprete di coreografie si citano i due lavori per interprete solista "Nati per essere luce" e "Notturno" (Roma 1987, 1990) e lo spettacolo di danza e poesia "Transformaction" (Ascona, Svizzera, 1997).
Dagli anni '80 si dedica con sempre maggiore intensità a regie teatrali. L'incontro e l'amicizia con Orazio Costa Giovangigli segnano un'importante tappa in tale percorso, con più iniziative in Italia e in Grecia. Dal 1995 affronta a Milano la regia di numerose opere liriche: "Don Pasquale", "Le nozze di Figaro", "Manon Lescaut", "Il trovatore", "La bohème", "Madama Butterfly" e altre. Negli anni 2000-2001 collabora inoltre con il Forum di Assago di Milano.

Tra i lavori più recenti, la regia e l'allestimento scenico del concerto di musica e poesia "Nuvola di canto" e la direzione artistica del "Supercongresso dei Ragazzi per l'Unità " trasmesso in mondovisione dalla Rai (Roma 2002), che ha visto la partecipazione di 12.000 giovani di oltre 90 nazioni. Dall'estate 2002 - in collaborazione con l'Università di Verona, con enti pubblici e istituzioni culturali - è l'artista protagonista del progetto "I tesori di Gibì e Doppiaw", ispirato al fumetto creato da Walter Kostner. E' del 2005 l'uscita del CDROM "La ballata di Gibì e Doppiaw" (prodotto da AzioniMusicali), disco interattivo con sue canzoni dedicate in particolare ai più giovani e a genitori ed educatori, ideato e realizzato in collaborazione con lo stesso Walter Kostner (insieme a vari musicisti, due cori di bambini e altri solisti).
Dall'incontro con il pittore Giancarlo Pozzi è nato il libro d'artista "Vivere da morire" (2003) con sue poesie tratte dall'opera omonima, presentato anche all'OFFICINAarte di Flavia Zanetti (Magliaso, Svizzera) dove, nella primavera 2004, invitato alla mostra E.QUI.LIBRI presenta "Còsmosi": libro d'artista, esemplare unico che, nella realizzazione grafica e materica delle due poesie corpus del poemetto, visualizza - quasi a commentarne i versi - il concetto di una scrittura nel nulla. Nell'aprile 2005 l'opera viene esposta alla Biblioteca Cantonale di Bellinzona e, nel luglio, pubblicata dalla rivista svizzera "Quaderno dei Grigioni Italiani".

Per quanto riguarda gli scritti, da sottolineare gli interventi sulla rivista del Canton Ticino "Verifiche" e per il trimestrale italiano "il Quaderno Montessori". Per la poesia in particolare - in cui ha come maestri Dante e Leopardi, Foscolo Ungaretti ed Emily Dickinson come compagni di vita - oltre la già citata "Vivere da morire", vanno ricordate le raccolte "Uraneo" (versi del decennio 1967-77) ed "... esia" di fine degli anni '80, in cui la parola viene rappresentata attraverso l’ideazione di composizioni grafiche.

Nei ruoli di curatore dei testi e di regista, insieme al pianista Paolo Vergari ha realizzato una particolare edizione delle "Harmonies Poétiques et Religieuses" di Liszt ('prima' a Modena, Teatro delle Passioni, 2003; repliche a Capua in S.Angelo in Formis, e a S.Nicolò d'Arbia (Pc)). Nel 2004, in collaborazione con amici musicisti e con il pittore Toni Salmaso, ha presentato il suo recital di canto e poesia "Nuvole e sassi" alla Pieve di Urago Mella (Brescia), quindi (in omaggio al pittore Angelo De Bortoli) al Rainerum di Bolzano e, nel 2006, al teatro Monteverdi di Cremona, accompagnato per l’occasione da giovani dell’orchestra della Scuola Internazionale di Liuteria “A. Stradivari”. Della registrazione live del concerto è stato realizzato un CD.

Sua l'ideazione e la realizzazione dell'allestimento della mostra "La Donazione Baratti" negli spazi del Museo Civico Ala Ponzone di Cremona (settembre 2005) e la regia, insieme con il fotografo Mino Boiocchi, del video dell’esposizione. La sua collaborazione con l’artista è continuata con l’allestimento di due altre mostre.
Presso la Biblioteca Statale di Cremona, che nel 2006 gli ha dedicato un'importante mostra intitolata "...compagni di bellezza" accompagnata da un esauriente catalogo curato da Lia De Pra Cavalleri, è conservato, in un Fondo appositamente costituito, un significativo nucleo di suoi lavori, arricchito negli anni dalle nuove opere.

Nel giugno 2011, ispirandosi al suo breve testo poetico “se potessi”, il compositore John Palmer scrive una musica per piano affidata all’esecuzione della pianista Maria-Clara Thiele presentata in prima assoluta l’11 settembre 2011 a Gollma (Germania) e inserita poi nel suo programma di concerti per il 2012.

Negli ultimi anni, insieme al riordino dei suoi scritti, lavora alla realizzazione di un progetto, al quale tiene molto: selezionare, rielaborare e incidere una raccolta di “canti spirituali” composti tra gli anni ‘70 e il 2010, tappe importanti del suo percorso di vita e della sua ricerca artistica che consiste nella "ricerca di quei valori e di quelle forme che siano via per andare oltre il banale e l'artificiale, alla riconquista della normalità perduta dove ogni particolare è meraviglia".

http://www.bibliocremona.it/leopoldo-verona-compagni-di-bellezza-il-segno-la-parola-opere-1975-2005/
| update: 2015-01-04
Songs/Canzoni

Ad ognuno sotto le nuvole (Grottaferrata, 11-14 ottobre 1987)
Andava come tutti (Milano, seconda metà anni '90)
Appeal (Milano, 10-11 luglio 1999)
Attese (Gaggiano novembre 2003/Brescia 21-29 marzo 2004)
Ave Madre Maria (Firenze ?)
Ballata (Fiumara, 1969/70)
Ballata in Si maggiore (Palermo, 1970/71)
Bella è la vita (Milano 1981)
Beyrouth 1983 (Beyrouth, settembre 1983)
C'è qualcuno, lo so (Firenze 1979)
Come tanti petali
Con voi (Palermo 1970/71)
Cammino libero
Con voi ancora un poco
Corazon Nuevo (testo di Garcia Lorca - Fiumara 1969)
Corre il trenino (Firenze 1978)
Da greco a Romano (Milano, 20-23 novembre 2000)
Dammi d'amarti (Milano 1982/83)
De Bello Amore (Gaggiano-Brescia, febbraio 2003)
Dichidà (Brescia, primavera 2004)
Dio di misericordia (Instanbul, giugno/luglio 1986)
Ed ho incontrato te
Favola
Felici e contenti (Gaggiano 2003)
Festa gioia allegria (Loppiano 1973)
Figli del re dei re
Filadelfo (con Alberto Ivern, Loppiano 1975-76)
Girotondo (Gaggiano 2002)
Grande supplica (Fiumara, 23-24 aprile 2003)
Ho lasciato le mie reti (Loppiano 1973)
Ho lasciato una traccia (Milano, 14 aprile 1983)
Ideale (Loppiano, 23 maggio 1974)
I cieli narrano (Loppiano, 16 gennaio 1974)
Il nome della solitudine (Firenze 1979)
Il paradiso (Loppiano, 23 giugno 1974)
Il tubo (Beyrouth, marzo 1984)
Incerti i miei passi (Firenze, 13 gennaio 1980)
Intervista a una stella (Beyrouth, 26-28 gennaio 1984)
La ballata di Gibì e Doppiaw (Ortisei, novembre 2003)
La canzone di Oscar (Fiumara 1969/70)
La mia canzone (inizi anni '80)
La mia identità (Firenze, 6 gennaio 1979)
La preghiera di Bonifacio
Lasciami dire (Firenze, 16 settembre 1979)
La stagione del silenzio (Firenze, 26/27 maggio 1979)
La strada di casa (Grottaferrata, 9-10 settembre 1990)
La tua presenza (Loppiano, novembre 1977)
La vita è bella (Loppiano 1974?)
Le dita della luce (Brescia, 22 marzo 2004)
Lettera ad un amico (quasi a me stesso) (Milano, gennaio 1982)
Ma toute belle
Maria sei l'unico fiore (con Gustavo Clarià , Lourdes-Loppiano 1975)
Metamorfosi (Grottaferrata, 8 ottobre 1989)
Mi sono detto tante volte (Milano, 21-22 ottobre 1980)
Natale 78
Nell'universo tempo (Brescia, 21-27 giugno 2004)
Noi bambini del mondo (con Alberto Ivern - Loppiano 1975)
Note di una musica (Loppiano, 1974)
Padre Mio (Palermo 1971)
Per fantasia (Firenze, 14 aprile 1978)
Per trasformare questa terra (Istanbul, febbraio 1986)
Piriporo (ripreso da Luciano Laurini e rielaborato - Brescia 2004)
Poeta (Il Cairo, 27 giugno 1984)
Preghiera (da Charles de Foucault - Palermo 1970/71)
Preghiera notturna (Palermo 1970/71)
Prima di partire (Milano 1980)
Quando avremo ucciso (Loppiano, estate 1974)
Qui (ded. a John Palmer - Firenze 1979/Gaggiano 23.7. 2001/Fiumara 10.9.2003)
Ricominciare (Milano, 11 marzo 1983)
Riflessioni di un girasole in un giorno di pioggia (Firenze 1979)
Rinascita (Palermo 1970/71)
San Astéri (Firenze, gennaio 1981)
Sarabell (Milano febbraio-marzo 2000)
Semplicemente vivo (Loppiano 1974)
Sequela (Brescia, autunno 2004)
Strumento d'unità (Pievepelago 1983)
Supplica (Gaggiano, 8-11 marzo 2004)
Sussurro di note (Firenze 1979)
Tempo d'amare (Palermo 1970/71)
Test allo specchio (Grottaferrata, maggio 1988)
Time out (Grottaferrata, 21 ottobre 1990)
Toi / Mon ideal
Un mondo normale (Palermo 1970/71)
Un oceano di desideri (Firenze, 30 ottobre 1979)
Un Uomo (Palermo 1971)
Una sera (Palermo, ottobre 1972)
Verso l'immensità (Firenze 1978)
Virgole (Gaggiano, 16-19 luglio 2003)
Voglio amarti
| update: 2014-12-27
Recital "Nuvole e sassi"

Lunedi 8 maggio 2006, alle ore 20,45, recital al Teatro Monteverdi - "Fabbrica delle arti", Via Dante, 149, Cremona con la partecipazione dell'Orchestra della Scuola Internazionale di Liuteria A. Stradivari e di Socrate Verona.
On Monday 8th May 2006 at 8.45pm a recital will take place at the Teatro Monteverdi - "Fabbrica delle arti", Via Dante 149 Cremona, Italy, with the participation of the Orchestra of the International School of Liuthers A. Stradivari and Socrate Verona.
| update: 2014-10-05
Su Arte e Teatro

Conversazione tra Leopoldo Verona e Silvano Marini
(pubblicata su "Verifiche"/ Svizzera n.2, aprile 2002)

Il 18 gennaio a Milano veniva ufficialmente presentato alla stampa e agli addetti ai lavori il Teatro degli Arcimboldi, struttura chiamata ad affiancare la Scala - che ha qui trasferito la sua programmazione durante i lavori di restauro dello storico edificio del Piermarini - quale secondo teatro lirico di Milano. Progettata dallo Studio Gregotti & Associati e realizzata in collaborazione con Comune di Milano e Pirelli & C., la nuova sede teatrale, da subito operativa, è abilitata a contenere 2.375 spettatori.
Ci pareva interessante riflettere su tale avvenimento. Abbiamo chiesto a Silvano Marini, storico e critico d'arte, e a Leopoldo Verona, musicista poeta regista, entrambi presenti all'inaugurazione dell'Arcimboldi, di confrontarsi sulle caratteristiche dell'edificio e, più in generale, sul teatro. Dal loro incontro, basato su una conoscenza improntata a reciproca stima, è nata l'intervista qui di seguito proposta, condotta da Marini sul filo della ricerca dei significati. Insieme a riflessioni su che cosa sia il teatro, sul rapporto spettacolo-pubblico, sull'essenza stessa di arte, emerge un ritratto di Leopoldo Verona, artista e innovativo uomo di cultura.

Silvano Marini - A Milano, in meno di un anno, sono stati inaugurati ben due teatri, dapprima il Dal Verme ora l'Arcimboldi. Come li definirebbe?
Leopoldo Verona - Il Dal Verme è una sala notevole dal punto di vista acustico e per tanti altri aspetti. Ma io non lo chiamerei "teatro"; è uno spazio per la musica, come già molti ce ne sono in Milano. L'Arcimboldi, per ora, ospita solo le produzioni della Scala.
Significativo, per me, reincotrarne il progettista, Vittorio Gregotti, mio professore quando studiavo architettura a Palermo...

SM - ... per laurearsi poi a Firenze con una tesi di notevole profilo, che io ho avuto modo di conoscere, su "Teatro e architettura".
LV - La ringrazio per l'apprezzamento. Devo dire però che la mia scelta iniziale per l'architettura era dovuta al fatto che cercavo orizzonti ampi, possibilità le più vaste. Erano anni in cui occuparsi dell'altro, di cui sentivi la sofferenza, era una necessità , soprattutto per un giovane, indipendentemente dall'essere artista scienziato operaio... Sono cresciuto in un ambiente ricco di stimoli e aperto verso le più diverse forme di comunicazione e di arte. Poesia è stata mia compagna di giochi. Nel tempo mi sono espresso quale autore e interprete di canzoni ed ho approfondito conoscenze di mimo e danza. Mi è venuto quindi naturale fare dell'espressività artistica argomento di ricerca.
Sono più di trent'anni ormai che indago in particolare intorno al teatro, il suo esistere e il suo fare, formato io a una cultura cui si fa risalire la nascita del teatro occidentale. Non si tratta però solo delle mie origini greche. E' qualcosa che mi ritrovo nella pelle, qualcosa di vitale in me.

SM - Vuol dire di sentirsi uno spirito "classico"?
LV - Può darsi, ma non nel senso che si dà a questa parola e al suo riferimento allo stile corrispondente. Se invece per "classico" si intende qualcosa che rimane nel tempo, credo di poter dire che questo mi interessa e mi riguarda.

SM - La stessa parola teatro, deriva dal greco...
LV - ... "teà omai", che significa "vedere": poter vedere, per entrare in relazione, perché sia "un momento da vivere insieme". Presso i Greci era l'intera società non solo una élite ad esserne coinvolta, con caratteristiche e valori che, grazie alla ricchezza di personalità e di tecniche, hanno raggiunto forme espressive di grande efficacia. Inoltre, in quanto spazio fisico, esso trovava una precisa collocazione architettonica all'interno della pòlis. Come il tempio era lo spazio della preghiera e l'agorà quello dell'incontro delle riunioni dei mercati, così il teatro era uno spazio unico ben definito, in cui si andava in determinati periodi dell'anno. Anche la scelta dei soggetti avveniva in funzione della loro aderenza alla situazione politica e sociale del momento. In tal modo il teatro veniva ad assumere carattere di necessità quasi istituzionale. Ma parliamo di una civiltà che solo arrivata al suo culmine si era espressa in questa forma. Nell'età di Pericle, ad esempio, agli spettatori veniva addirittura corrisposto il salario di una giornata perché potessero partecipare a questo momento, non solo significativo, ma fondamentale della vita della società .

SM - Società che aveva una cultura di riferimento. Il che non si può dire della nostra, orientata verso un'internazionalizzazione che è quasi negazione delle diverse origini dei popoli, della loro varietà e ricchezza.
LV - Sì, credo che si stia correndo questo rischio. Quando però ci si è mossi alla ricerca di nuove forme di teatro, dalla prima metà del Novecento in avanti, si è andati (attori registi autori) in giro per il mondo, spesso presso società cosiddette "primitive", dove il teatro conserva i valori originari. (Siamo anche andati a cercare nell'India del Kathakali e nel Giappone del Teatro "No", dove il linguaggio - fatto di parola musica movimento e anche di non-parola/gestualità maschera costume... - è fondato sulla grande preparazione dell'interprete.) All'interno di queste società , la figura dell'attore/sacerdote, in un momento spazio-temporale unico, quando si riunisce tutta la gente del villaggio, esprime, universalizzandoli, i temi fondamentali della vicenda umana, personale o sociale... Anche se mi rendo conto di vagheggiare utopie, io credo che il teatro dovrebbe recuperare la sua funzione di stimolo per la società . Essere quel momento in cui la coscienza collettiva si confronta con l'emozione, per andare al di là della cronaca e del quotidiano o, meglio, per andarne alla radice.

SM - L'emozione, fondamento di ogni fatto artistico.
LV - L'artista ha questa, come funzione: di farsi tramite. In questo consiste il suo essere. Qualsiasi artista, in qualsiasi forma di espressione si produca. (Anche l'interprete - che pure non è creativo perché non l'ha fatta lui, l'opera - in quel momento è lui il tramite, è lui che le dà vita.) Io credo a questo ruolo imprescindibile all'interno della società , della costruzione stessa per la storia. (...) Oggi si pensa che questo sia compito esclusivo della politica. Ma come si fa a governare popoli e nazioni gestendoli come si gestisce un'azienda, avendo come principale punto di vista la produttività ? A me sembra che in qualsiasi campo dell'attività umana bisognerebbe tener conto di tutti gli elementi che compongono una società , non ultime l'arte e la cultura, che spesso sono considerate solo un momento di evasione, qualcosa di superfluo, di secondario, che può esserci o non esserci.

SM - Non c'è una responsabilità anche degli artisti e degli intellettuali?
LV - Più che di responsabilità bisognerebbe parlare di colpe. Ricordo un saggio ingegnere cipriota che mi diceva: "Vedi, io, con la mia preparazione, col ruolo che ricopro, se ritengo pericolante il cornicione di una casa, devo segnalarlo alle autorità competenti. E' mio dovere farlo e fare di tutto perché si provveda a scongiurare il pericolo". Non può fare teatro, non può fare arte un "artista" che non abbia in sé la consapevolezza di quello che è il suo essere. Perché condannare il medico che non fa bene il proprio lavoro e accettare qualsiasi "porcata" (mi scusi il termine) definita arte? Ma in una realtà impoverita di valori, non si capisce nemmeno chi sia l'artista e quale sia il suo ruolo. Oggi vale solo quello che ha un peso economico e commerciale. Il resto non ha valore. Eppure i veri artisti hanno orientato la storia con le loro opere.

SM - Esiste arte oggi?
LV - Sì, esiste. Non so quanto viva. Una cosa è esistere, ma vivere... Non voglio né so, dire di più. Alla sua domanda però rispondo: sì, io penso che esista. Non può non esistere. Secondo la legge, un documento comprova che ci sei perché sei nato ma, se non si redige un atto di decesso, esisterai sempre. Si nasce e si muore, si esiste o no a seconda che lo si possa provare con un documento... L'arte, grazie al cielo, non ha bisogno di documenti per esistere!

SM - Esiste teatro oggi?
LV - Esiste. Ma la sua voce è troppo flebile, non entra in maniera incisiva all'interno del vivere associato. E' difficile per un attore, per una persona di teatro oggi, potersi esprimere in maniera che il suo agire sia significativo per la società . E poi, non sempre gli attori sono artisti. A questo bisogna aggiungere che la produzione di testi teatrali è rara e che l'architettura - quando assume ruolo di protagonista anziché di servizio - può a sua volta non contribuire a creare l'"ambiente".


SM - Lei, ha mai scritto "cose" per il teatro?
LV - Ne ho scritte. Ma non sono tutte definite dal punto di vista della loro rappresentazione. Sono piuttosto tracce su cui dovrei ancora lavorare. Se mai avrò il tempo, cercherò di definirle così come mi piacerebbe. Ci sono però state occasioni sporadiche per mie rappresentazioni di mimo, teatro-danza, con performances personali o con altri artisti.

SM - Infatti. Ricordo la sua interpretazione del Notturno n.28 di Chopin, tra mimo e danza; ma penso soprattutto a "Light!", straordinario testo poetico a mio parere, che sarebbe interessante vedere finalmente messo in scena.
LV - Vedo che conosce...

SM - Un poco. Ma torniamo a noi: come mai era venuto anche lei all'inagurazione dell'Arcimboldi?
LV - Ho deciso di farlo perché mi interessava vivere lo spazio di questo nuovo teatro. Mattinata particolare, per vicende personali, per forte gelo e nebbia... Dovevo proprio attraversare la città per raggiungere il luogo. Primo tratto in macchina poi in metropolitana; infine opto per un taxi. Conversazione stimolante con il taxista che mi accompagna, il quale mi spiega anche le caratteristiche di questo quartiere della periferia di Milano.

SM - Un'area enorme, quella della Bicocca! Era la vecchia area industriale della Pirelli riqualificata con un progetto complesso, che vede la presenza dell?università , collegamenti di trasporto pubblico eccetera.
LV - Tutte realtà che io ho avvertito, con un senso di disagio. Arrivare tra quei casermoni, costeggiare la staccionata della zona dove è in costruzione il parcheggio, quindi svoltare ad angolo retto e trovarsi di fronte al teatro, che fino all'ultimo non si vede... Mi è venuto da piangere davanti a questa avvenieristica mastodontica realizzazione. Mi sono detto: Ma per chi? Per cosa? L'ho sentita lontana, dalla gente, da noi. Mi è apparsa slegata da tutto. Era meglio quando si poteva dire "povero ma bello". Più tardi, nella mattinata, ho pensato che la sua collocazione in un quartiere popolare possa permetterle, anziché di sopravvivere come un "museo", di diventare parte viva di un tessuto vivo. (Bisogna però che cambino parecchie cose nella gestione degli spettacoli.) Tuttavia è proprio un bello spazio, che presenta tutte le caratteristiche di un teatro, anche se un po' rigido nella concezione, finalizzato com'è quasi esclusivamente al melodramma.

SM - La forma si ispira all'anfiteatro greco-romano.
LV - E' vero. Questa è una sua caratteristica, purtroppo limitata dal fatto che manca l'apertura laterale. E'un anfiteatro in scatola, se così si può dire, che però usufruisce di un grande palcoscenico. Non intendo valutarne i dati tecnici, ormai noti, quanto esprimere la mia sensazione. Non ho esaminato l'impianto scenico, ma il teatro dovrebbe funzionare non per la capacità di avere macchine o tecnica, anche se ogni rappresentazione di oggi avrebbe la necessità di usufruire di mezzi ad essa contemporanei così da essere proposta in modo corrispondente all'esigenza del proprio tempo. Ma è anche vero che esistono ormai numerose esperienze di teatro fatto in luoghi abbandonati, nella natura eccetera. Tuttavia è chiaro che, per quel che riguarda il teatro lirico, esso deve corrispondere a precisi requisiti che permettano alle grandi opere di esprimere quello per cui sono state fatte.

SM - E' solo un teatro lirico, quindi, l'Arcimboldi, secondo lei.
LV - Sostanzialmente sì. Come sa, una delle domande che ci si è posti, tra quanti eravamo lì, è stata: "Una volta concluso il suo ruolo di temporaneo sostituto della Scala, come sarà utilizzato"? Non credo che si sia andati molto più in là del fatto che sarà comunque la Scala stessa a gestirlo. Una struttura così non può scomparire una volta esaurita la sua funzione. Io l'avrei corredata di altre possibilità - ma sarebbe stato necessario provvedervi già in fase di progetto - sennò si potrebbe parlare di teatro usa e getta. Inaccettabile, se si pensa ai costi di realizzazione. Inaccettabile, se si considera l'urgenza di altre strutture di primaria necessità : il teatro in fondo può vivere anche per strada... ma è fatto per i vivi.
Come dicevo, voglio però sperare che cresca anche all?interno del quartiere ed acquisti una sempre più ampia fruibilità .

SM - Si tratta però sempre di una struttura moderna che potrebbe consentire un cartellone ricco, favorire scambi internazionali...
LV - E' vero, ma per qualunque progetto ci vuole l'intenzione, di fare; soprattutto, ci vuole voglia di cultura. Finché non ci sarà questa apertura, anche questo teatro, per quanto grande, sarà sempre uno spazio chiuso, limitato, uno spazio nel quale si può venire a vedere produzioni che sono solo espressione di una cultura storicizzata, quando non scandalosamente frivola, di routine o priva di cultura stessa. In una parola, inutile. Girando per gli spazi del teatro, ho incontrato alcuni giovani operai che sin dall'inizio hanno lavorato in quel cantiere, in pausa per la cerimonia inaugurale. Mi dicevano di essere stati presenti alla prova della sera precedente, ma di non aver capito molto di quello che avevano visto. Sentivano la necessità che ci fossero elementi di tramite tra la rappresentazione e la "nonconoscenza" del pubblico, di quanti come loro non conoscono la storia, non entrano in quel linguaggio. E' bisogno di capire. Ma da che parte incominciare? Questo sarebbe compito dell'organizzazione, cioè dell'impostazione culturale: se non offri al fruitore di un tale spazio la possibilità di poterlo vivere, con quello che vi accade, di poterlo comprendere? Ricordo un aneddoto francese, letto ancora sui banchi di scuola: un contadino era andato in città e, tornando nel suo paese, riferiva quello che aveva visto. "Sei andato anche a teatro?" "Ah sì, ci sono andato!" "Raccontaci, raccontaci!". Grande curiosità . "Beh, insomma, lì gli attori parlavano degli affari loro, e io non sono stato neanche ad ascoltarli." Se non interessi lo spettatore, non soltanto con quello che dici ma facendogli capire quello che stai dicendo, serve a ben poco portare la gente a teatro.

SM - La difficoltà di quegli operai, quale era?
LV - Era per l'opera in sé, per un tipo di spettacolo lontano dalla loro possibilità di "viverlo". Però, quando si è formati all'ignoranza, alle cose facili, al superficiale... Non si può tuttavia pensare che dei giovani, abituati al linguaggio della musica contemporanea, possano entrare - con tutti i valori che esso ha - nel linguaggio del melodramma. Che è un genere di spettacolo in cui concorrono varie arti. E' un impegno culturale fornire elementi per renderlo comprensibile. Quello che a mio parere manca, che bisognerebbe rievocare o comunque instaurare, è una forma di (uso una parola che può sembrare desueta) umiltà . Nessun regista o interprete o direttore d'orchestra può pensare che tutto dipenda da lui. Noi sosteniamo invece mostri sacri, che... Dovrebbe esservi un intervento creativo per riportare al pubblico di oggi un'opera lirica, portarla non dico alla conoscenza, ma al nutrimento - essendo un'opera d'arte - di chi fruisce. Non può essere solo occasione per un banale incontro mondano.

SM - Insistendo, sottolineo però che non basta essere bravi musicisti ottimi cantanti tecnici aggiornati perché una rappresentazione sia arte.
LV - Sono d'accordo con lei.

SM - Ma, allora, che cosa deve esserci in più?
LV - Un'armonia di azioni tendenti a mettere in concordia gli elementi adatti a dare rilievo al dramma che si svolge. Quelli che nell'opera originaria si volevano comunicare. Non si può prescindere da ciò, nella sua realizzazione.

SM - Sì, ma che cosa la fa diventare arte?
LV - Intanto la consapevolezza, da parte dell'insieme di persone che vi lavorano, di concorrere a una stessa operazione. E soprattutto, io penso, la qualità . In questo senso è l'artista - tramite tra l'opera e chi la deve fruire in quel momento - colui che ha la sensibilità per discernere, per indicare, per operare... Ed è nel momento in cui il fatto teatrale fa di tutti - interpreti e pubblico, di qualsiasi cultura ed esperienza - un uno, è in quel momento che diventa fatto artistico. Quando prende tutti!
C'è, è vero, una componente di mistero. (Gli spagnoli, ad esempio, nelle loro forme di espressione popolare - soprattutto nel flamenco - parlano di presenza o meno del "duende". Intendendo per "duende" quasi un intervento dello spirito, che viene a catalizzare e a trasformare la "materia", cioè la danza la capacità la bravura...). Io starei attento di fronte a un artista detto tale, che si presenta molto sicuro di sé, anche se professionalmente preparato e bravo, se gli manca, prima di entrare in scena, il timore che quello che lui fa possa davvero arrivare ad operare quella trasformazione, ad operare quella osmosi, a comunicare emozioni! Per questo, l'umiltà di cui parlavo.
Poi, ogni sera è diversa. La sala vuota/la sala piena? La sala vuota, chissà perché, inibisce lo spettacolo, blocca l'artista. Quando si sente dire: "C'era poco pubblico, quindi lo spettacolo è stato compromesso", non sono per niente d'accordo. Queste sono considerazioni di tipo economico! Se io, in quanto artista, mi preparo a poter comunicare e non ad esibirmi perché la folla mi acclami e mi dica "bravo", è lì che lo spettacolo riesce, che l'arte vive! Certo, ci vuole almeno un'altra persona. Se non c'è nessuno, non esiste teatro. Il teatro può esistere anche in questa nostra conversazione, benché sia limitante essere solo in due. Ma dal momento in cui ci sono tre persone, e una si esprime al loro interno, a mio parere c'è questa possibilità .

SM - Perché la terza persona fa teatro?
LV - E' una mia idea, nata dall'esperienza. Non so cos'è, che fa questo. So però che, grazie alla presenza della terza persona, la sensazione da parte di chi si esprime è che il suo fare acquisti un valore universale, di adatto a più!
Nel fatto creativo intervengono concentrazione e svuotamento assoluto, totale di sé, essere per ...
Andando alla mia esperienza, devo aggiungere che le cose anche mie che sento di più non sono quelle dove più ho pensato quello che dovevo fare, ma quelle in cui l'ho espresso, l'ho dato. E' venuto fuori!

SM - Mi pare che a questo punto si possa parlare di ispirazione.
LV - Di ispirazione bisognerebbe parlare sempre. Ma tenendo in grande considerazione quanto dice Schiller: "L'opera d'arte è unopercento ispirazione, e novantanovepercento lavoro per costruirla".
Per non dire che che l'ispirazione dovrebbe poter entrare in tutte le azioni dell'essere umano: non si può far politica senza ispirazione; non si può fare economia, senza ispirazione. I Greci avevano colto molto bene questo, tant'è vero che al poeta non chiedevano soltanto opere teatrali, ma affidavano anche l'esercito, per andare a combattere! Perché lo consideravano una persona sensibile, capace di cogliere l'ispirazione per operare l'azione giusta che potesse portare alla vittoria.

SM - Lei sta preparando la regia di una Butterfly. E' un'opera che sente di poter trasmettere ai contemporanei?
LV - Sì. Tutto ciò che presenta emozione, tutto ciò che può corrispondere a un vissuto, di mille anni fa o di adesso, può essere rappresentato, può essere riproposto. Per quanto riguarda in particolare Madama Butterfly, mi pare un'opera in cui la vicenda raccontata sia talmente fusa con l'espressione musicale inventata da Puccini per rappresentarla, che altro non si può fare che cercare di riproporla, nella sua essenzialità , in quello che è.

SM - Avendo affrontato molte opere - Don Pasquale, Nozze di Figaro, Manon, Trovatore, Bohème... - che cosa in particolare le interessa evidenziare nel capolavoro pucciniano?
LV - Avrei parecchi elementi. Innanzitutto lo sfruttamento o l'utilizzazione di una società più debole per potenza e prestigio da parte di una società economicamente di potere. Nella Butterfly, poi, ci sono due personaggi, entrambi americani: il console Sharpless e il tenente di Marina Pinkerton. Tutt'e due prodotti della stessa cultura, dello stesso mondo: il primo si rende conto delle possibili conseguenze di certe azioni; l'altro invece, irresponsabilmente, usa tutto a proprio vantaggio. Ma alla fine si rende conto delle sue responsabilità . Dovrà , rendersene conto! Anche se ciò non salva Cio-Cio-San. Nella musica viene messo molto più in evidenza il gesto del suicidio; io vorrei sottolineare, benché tardivo, anche il pentimento di Pinkerton. Intenderei inoltre dare all'opera il significato non di una tragedia privata bensì di un dramma corale.

SM - Ma questa è un'interpretazione che ci tocca da vicino, coinvolgendoci...
LV - E' una vicenda che si può riproporre in quanto opera d'arte! Quello che per me è importante - attraverso la caratterizzazione dei personaggi dell'ambiente eccetera - è mettere in evidenza il dramma dell'autenticità di chi ha piena fiducia nell'altro, da una parte; la superficialità nel tradire tale fiducia, dall'altra. Non si tratta solo di due diversi modi di affrontare la vita, piuttosto di due diverse qualità dell'essere.

SM - Mi immagino una sua messainscena misurata, essenziale.
LV - Sì. Tra l'altro, a me questo pare un approccio molto più moderno, molto più consono con la nostra sensibilità , le nostre conoscenze. Si potrebbe raccontare la vicenda anche entrando nei dettagli però, nell'era della comunicazione, dove tanti elementi sono già noti, i particolari si possono esprimere in altri modi. A me pare che la sostanza di questa tragedia possa essere data proprio sottolineando la stretta relazione tra azione scenica e musica. E curando l'interpretazione, naturalmente! Fondamentale. Ma c'è già tutto, nella partitura di Puccini.

SM - La sua regia è dunque tesa a raggiungere quell'unità e quell'armonia di cui parlava prima.
LV - Mi piacerebbe! Con tanta, appunto, umiltà . Con grande attenzione e con tanto lavoro. Perché poi c'è la materia, con cui si lavora: ci sono gli interpreti, con le loro impostazioni, preparazioni o impreparazioni; ci sono le caratteristiche tecniche degli spazi a disposizione; ci sono i limiti dei budgets, che però talvolta stimolano la fantasia...

SM - Quali differenze tra questa Butterfly e quella da lei proposta qualche anno fa?
LV - Non lo so, bisognerà prima realizzarla. So che il pubblico ne era contento. Tante volte, dopo una serata, non si è contenti di quello che si è fatto; sembra che manchi qualcosa. In questo caso, la gioia degli altri può sostituire la nostra. Ma l'operazione è pienamente riuscita se la gioia è reciproca. L'applauso... bene. Ma anche il silenzio di una lacrima.
| update: 2014-10-05
Info

Songwriter, poet, choreographer, artistic director: Leopoldo Verona is a multi-faceted artist of Greek and Italian descent who has been active over the past 30 years mainly in his native Italy. He has written more than 100 songs enrooted in the Italian tradition of "canzone d'autore". His choreographies include "Nati per essere luce" and "Notturno" (Rome 1987 and 1990) both for solo actor, and the dance and poetry show "Transformaction" (Ascona, Switzerland, 1997). Verona's artistic commitment is focused on the 'search for those values and forms which go beyond the banal and the artificial, pointing at the celebration of a lost normality where each single gesture becomes wonder'.
| update: 2014-10-05